Ne abbiamo parlato con Laura D’Odorico, docente di Psicologia dello sviluppo e disturbi del linguaggio all’Università Bicocca di Milano.
di Elisabetta Ranieri
Si sta avvicinando il primo compleanno del vostro bambino. Già da qualche mese, o da parecchi, ha cominciato a emettere qualche suono e ora c’è l’attesa delle prime parole: mamma, pappa, bau, nanna…
Di solito nei genitori si crea un’attesa, un’aspettativa. Qualche volta, strada facendo, delusa: ci sembra più “lento” di altri, o troppo silenzioso, o con difficoltà di pronuncia particolarmente spiccate. L’ansia dei genitori non aiuta mai il piccolo.
Quali possono essere allora i riferimenti per un genitore? E quando vale la pena preoccuparsi, o, più semplicemente, osservarlo in tutte le sue manifestazioni e stimolarlo di più? Ne abbiamo parlato con Laura D’Odorico, docente di Psicologia dello sviluppo e disturbi del linguaggio all’Università Bicocca di Milano.
UN PERCORSO A TAPPE, CON TANTE VARIABILI
12/13 MESI – Le prime parole È l’età a cui solitamente il bambino comincia a dire le prime parole, due, tre o quattro. Può succedere anche qualche mese dopo.
18 MESI – 50 parole Il 50% dei bambini arriva a circa 50 parole, dove per parola s’intende anche “bau bau”, o “baba”, o quanto basta per indicare un oggetto.
“Ci sono bambini che a quest’età non dicono ancora nessuna parola, ma questo non è di per sé preoccupante” spiega Laura D’Odorico.
“L’importante in questi casi e badare che il bambino capisca, che comunichi attraverso gesti con le persone che gli stanno intorno e che ci sia produzione di lallazione o comunque di suoni con presenza di consonanti: quest’ultimo infatti è un buon indice per la previsione di un normale sviluppo del linguaggio. Al contrario non lo è il fatto che produca solo suoni vocali tipo “aaaa….”
Il bambino dovrà essere stimolato, parlandogli di più, stimolando ogni sua forma comunicativa anche gestuale e coinvolgendolo molto nella lettura di libretti, non solo per favorire la nanna, ma anche in altri momenti della giornata”.
2 ANNI – 150 parole Il 50% dei bimbi produce in media circa 150 parole e inizia a produrre le prime frasi, ma il range va da 50 a 400: “Nell’ambito dello sviluppo linguistico si hanno differenze individuali vastissime, che pur rientano nella normalità” spiega e sottolinea la Prof.ssa D’Odorico.
“Se il bambino di 2 anni produce meno di 50 parole, merita di essere osservato, perché è una condizione che potrebbe essere indice di rischio per futuri problemi linguistici.”
Non occorre nessuna terapia, ma un’osservazione più attenta: è importante che ci sia un incremento mensile, anche solo di una parola alla volta.
Bisogna incrementare gli stimoli. Per esempio, fate più attenzione a dedicare momenti della giornata alla vostra comunicazione tu per tu, accompagnate con le parole il momento della pappa, del gioco; durante le passeggiate coinvolgetelo nell’osservazione di quel che c’è intorno; favorite i suoi gesti rispondendo al suo tentativo di comunicazione silenziosa, per tenere comunque “viva” la relazione; dedicate più tempo alla lettura della sera, scegliete libri con belle illustrazioni, soffermatevi su singoli oggetti o figure parlando sempre in modo lento e rilassato e inventando brevi storie che attraggano la sua attenzione sulle nuove parole.
Si possono già fare e sono consigliabili accertamenti sull’udito. Otiti ravvicinate o prolungate nei primi anni di vita, causando di fatto periodi di sordità, potrebbero essere la causa del rallentamento nel processo di sviluppo: in questi casi l’esito è un rientro alla normalità.
3 ANNI – prime frasi corrette (400 parole) È intorno ai 36 mesi che normalmente avviene un’esplosione del linguaggio: il numero di parole prodotte aumenta in breve tempo (fino a circa 600) e il bambino comincia a formare frasi di tre o più parole.
“Quando si nota una mancanza di comunicazione e l’udito non ha problemi, tra i 3 e i 4 anni diventa opportuno rivolgersi a uno specialista: uno psicologo dello sviluppo esperto in problemi dello sviluppo, un neuropsichiatra infantile o un esperto in logopedia, che farà gli opportuni accertamenti” spiega Laura D’Odorico.
I DSL risultano avere una diffusione del 5-7% sotto i 6 anni, che si riduce all’1-2% sopra i 6 anni
I Disturbi specifici del linguaggio (DSL) hanno sempre alle spalle una storia di ritardo nello sviluppo, ma è molto spesso presente anche una componente neuropsicologica: se prima dei 3 anni è molto difficile impostare un serio programma di riabilitazione, può essere importante, per il futuro esito degli interventi di cura, non aspettare i 6, cioè quando le difficoltà linguistiche si evidenzieranno più drammaticamente con l’ingresso a scuola.
CONSIGLI AI GENITORI (agli insegnanti e agli educatori in genere)
- Il bambino impara dalla mamma, non dalla tv.“Il bambino ha bisogno di essere esposto alla lingua madre specialmente nel primo anno di vita: il primo fattore che predice lo sviluppo quantitativo del linguaggio è la comunicazione materna, o comunque, della persona che lo alleva” sottolinea Laura D’Odorico. “Il piccolo, infatti, impara poco dall’esterno: è errato, per esempio, pensare che impari ascoltando la televisione. Inoltre, man mano che si sviluppano le competenze linguistiche, il bambino impara non più associando la parola all’oggetto corrispondente, ma anche in relazione al significato della frase. Così accade per esempio per i verbi”.
- Al nido molto piccolo: è importante il rapporto numerico educatrici/bambino. “Un ingresso precoce e prolungato al nido nei primi due anni di vita può rallentare il ritmo di sviluppo del linguaggio, perché il bambino non avrà una persona solo per lui che gli rivolge continuamente la parola. Dipende dal rapporto numerico educatrici-bambini e l’ambiente esterno può essere rilevante solo nel caso di bambini già particolarmente vulnerabili”.
- Indica con il dito? Non insistete perché parli “Il bambino che sa il nome delle cose le dice” sostiene la Prof.ssa D’Odorico. “E non bisogna insistere perché parli. La madre fa sempre bene a interpretare: è peggiore il rischio di frustrare il bambino che non quello eventuale di permettere che sia pigro. Il bene supremo, infatti, è che, in qualsiasi modo, madre e figlio comunichino fra di loro”. Quando poi il bambino uscirà dal nido familiare dove tutti conoscono “la sua lingua”, trovare le parole per comunicare con i pari sarà un nuovo stimolo.
- Mamma e papà parlano due lingue diverse: che ciascuno usi sempre la stessa. “È assolutamente positivo parlare in due lingue al bambino. Ci saranno fenomeni di rallentamento nello sviluppo ma l’esito favorevole non viene compromesso, purché ci sia coerenza nelle situazioni: per esempio, mamma parla sempre inglese e papà italiano”.
- Primo, secondogenito, ultimo: nessuno parte sfavorito. “Indagini recenti hanno rilevato che la posizione del bambino in famiglia (primogenito, ultimogenito, ecc…) non influisce sulla velocità dello sviluppo linguistico” sottolinea l’esperta. “Le femmine, invece, imparano in media uno o due mesi prima e il ritmo è più veloce in relazione alla scolarità più elevata della madre. Non sono però variabili determinanti sull’esito finale”.
- Balbetta o pronuncia male: consultatevi con il pediatra. “La balbuzie in età prescolare è irrilevante dal punto di vista linguistico, perché dipende da cause di ordine emotivo-relazionale” spiega D’Odorico. “Per i problemi articolatori l’intervento da parte del logopedista è indicato non prima dei 4 anni. Lo specialista adotterà un programma di riabilitazione e il difetto fonologico in linea di massima si risolve”. Per le indicazioni sullo specialista rivolgetevi al pediatra di base o alla asl.
- Anche dopo l’anno, parlare al bimbo è più importante di chiedere. “Non si deve chiedere, si deve dare. Solitamente accade che nei primi 12 mesi i genitori parlino molto al bambino, mentre nei successivi 12 tendano a chiedere: il nome degli oggetti, o delle figure quando si sfogliano i libri. La madre, invece, deve continuare a parlargli sempre, perché il bambino impara dal modello verbale dell’adulto, non dall’esercizio di ripetizione”.
- Non sottolineate i suoi errori, ma dategli il tempo di cui ha bisogno. “Tempestarlo di domande indicando questo o quello, parlare davanti ad altri delle sue eventuali difficoltà, anticiparlo, interromperlo dicendo che si ha già capito non favorisce la sua possibilità comunicativa. Quando sbaglia, invece di correggerlo, ripetete la versione corretta”.
- Un ambiente difficile non impedisce al bambino di imparare. “Il linguaggio è un competenza robustissima, che si sviluppa anche in condizioni esterne molto negative”.
(fonte dati normativi: Primo vocabolario del bambino, di M. Cristina Caselli, Patrizia Pasqualetti e Silvia Stefanini, ed. Franco Angeli)