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Dislessia e DSA di Cristiana Zucca
Disturbi del linguaggio.Scheda di presentazioneScritto da Redazione lab.crd.marche.it
Mercoledì 30 Marzo 2011 10:58 La competenza linguistica non è una capacità unitaria, bensì un insieme di abilità che possono essere ritardate o deficitarie secondo diverse linee o dimensioni dello sviluppo linguistico (Cipriani e Chilosi, 1995). Il linguaggio è infatti un sistema complesso caratterizzato da sottocomponenti (controllate da aree cerebrali specifiche) quali fonologia, morfologia, semantica, sintassi e pragmatica, che elaborano differenti aspetti delle parole. Il sistema linguistico è una funzione innata, “specie-specifica”, per cui gli elementi basilari per l’acquisizione linguistica sono presenti nel bambino sin dalle prime settimane di vita; ecco che fino a sei mesi, i suoni emessi dai bambini di tutto il mondo sono simili, mentre poi l’influenza dell’ambiente comincia a determinare le differenze, che si tradurranno in breve tempo in diverse lingue parlate (Dellantonio, 1991; Amoretti, 1998). Il linguaggio si acquisisce perciò grazie ad una pregressa base di capacità cognitive. C’è una stretta interdipendenza, infatti, tra processi cognitivi e sistema linguistico, anche se non si conosce la direzione causale di questa relazione. Lo sviluppo del linguaggio è correlato a processi di simbolizzazione ed astrazione, oltre a capacità di tipo neuropsicologico, cioè funzioni per l’elaborazione delle informazioni e processi di controllo (livello metacognitivo), quali capacità gnosiche, prassiche, percettive, mnestiche, attentive, ecc., ma coinvolge anche aspetti affettivo-relazionali e socio-ambientali (Sabbadini e Leonard, 1995). Da questo si può intuire come problemi in una o più di queste componenti, possano incidere in diverse maniere sull’apprendimento linguistico. Allo stesso tempo, una difficoltà nell’acquisizione del linguaggio può avere conseguenze anche sull’organizzazione cognitiva ed emotivo-relazionale del bambino (Donini e Cubelli, 2000; Piperno, Maurizi e Levi, 1992). Infatti il disturbo del linguaggio (DL) (soprattutto se di tipo sintattico e/o se coinvolge anche la comprensione verbale) determina un rischio evolutivo per l’intelligenza, soprattutto verbale ma anche non verbale, e un rischio comportamentale (Bishop e Adams, 1990). Pur essendo possibile individuare delle tappe comuni nello sviluppo del linguaggio, l’età di acquisizione, la progressione e il consolidamento delle diverse abilità linguistiche sono soggetti a notevoli variazioni individuali e sono molto legati al generale sviluppo cognitivo; comunque si può dire che verso i 5-6 anni un bambino normodotato ha già acquisito gli elementi fondamentali del linguaggio, ma continua il suo sviluppo linguistico fino a tarda età. I disturbi del linguaggio. Per quanto concerne la classificazione dei DL, manca ancora una nosografia ben consolidata in età evolutiva, per cui i criteri finora utilizzati non sono del tutto soddisfacenti, in quanto non rendono conto né dell’eterogeneità e multifattorialità di questi disturbi, né della loro frequente trasformazione. Un criterio di classificazione utilizzato è stato quello clinico-eziologico (ad esempio quello di Ingram, 1972, in Fabrizi, Sechi e Levi, 1991 e Cipriani e Chilosi, 1995), che ha distinto disturbi di linguaggio primari o disturbi specifici di linguaggio (DSL), caratterizzati dall’assenza di problemi cognitivi, relazionali, neuromotori e sensoriali, e disturbi di linguaggio secondariassociati invece ad altre problematiche come ad esempio ritardo mentale, disturbi relazionali, paralisi cerebrali infantili, ipoacusia o sordità. Gli autori stessi di questo tipo di classificazioni si rendono conto della loro parziale inadeguatezza dovuta al fatto che le categorie diagnostiche sono state spesso identificate in base a parametri molto eterogenei, che in età evolutiva raramente si può scoprire l’eziologia dei DL, che sono state considerate solo le cause, ma non i profili funzionali di questi disturbi e che, infine, questo tipo di classificazione non è adeguata per i DSL, in quanto porta a diagnosi per esclusione e al confluire in una sola categoria diagnostica di quadri molto diversi (Cipriani e Chilosi, 1995). Un criterio di classificazione emerso solo successivamente rispetto al precedente, è quello basato su parametri psicolinguistici, che distinguedisturbi di comprensione verbale e disturbi di produzione verbale. Questo è un sistema di classificazione che permette la costruzione di profili funzionali diversi quantitativamente e qualitativamente nei differenti disturbi, ma che si rivela ugualmente insoddisfacente; uno dei motivi è che questo approccio ha analizzato le diverse componenti del linguaggio isolandole dal più generale contesto clinico (Donini e Cubelli, 2000). Così, attualmente, viene sempre più proposto un modello multiassiale per la classificazione dei DL, che tiene conto di molteplici aspetti quali origine, complessità, evoluzione e possibili trasformazioni e che quindi permette un’efficace differenziazione diagnostica e un’analisi delle competenze neuropsicologiche, psicolinguistiche e relazionali alla base del disturbo. E’ in tale contesto che vengono distinti: disturbi specifici di linguaggio, disturbi strumentali (disordini a livello dell’anello audio-articolatorio), disturbi di integrazione (deficit linguistici correlati a ritardo mentale, ritardo motorio, psicosi, situazioni socio-economiche di isolamento e di ipostimolazione). Una distinzione comune viene effettuata tra disturbi della parola o “speech”(in cui è compromessa la capacità di realizzazione articolatoria dei suoni del linguaggio, ovvero la componente fonetica, a causa di un danno anatomico o neuro funzionale) e disturbi del linguaggio o “language” (che riguardano la componente simbolica, ovvero i meccanismi alla base della rappresentazione-formazione del messaggio verbale). Tra i disturbi della parola troviamo la disfonia, la disartria, le disritmie o balbuzie, le dislalie o disturbo specifico dell’articolazione dell’eloquio; tra i disturbi del linguaggio vanno invece distinti quelli specifici e quelli secondari (Gullotta, 2011). E’ bene distinguere anche i disturbi del linguaggio dai ritardi linguistici, in quanto, in questi ultimi, il linguaggio è simile a quello di un bambino normodotato ma più piccolo di età, per cui non presenta atipie nel ritmo e nella forma di sviluppo. Inoltre è importante sottolineare che il disturbo linguistico è strettamente legato all’età del soggetto, in quanto si manifesta in modo diverso col passare degli anni e secondo la fase evolutiva (Fabrizi, Sechi e Levi, 1991; Leonard e Sabbadini, 1995). I disturbi specifici del linguaggio vengono definiti anche disfasie evolutive o di sviluppo. Tenendo conto degli aspetti quantitativi (lieve, medio, grave), del versante interessato (comprensione e/o produzione) e del livello linguistico (deficit fonologici, morfo-sintattici, semantico-lessicali, pragmatici, prosodici), si possono delineare quadri nosografici diversi di disturbi specifici del linguaggio; infatti questi ultimi sono un insieme eterogeneo di disturbi caratterizzati da un ritardo o da un disordine in uno o più ambiti dello sviluppo linguistico, in assenza di deficit cognitivi, sensoriali, motori, affettivi e di importanti carenze socio-ambientali. La loro frequenza è più elevata nei maschi e si riscontrano soprattutto in età prescolare e durante la prima elementare, ma non diminuiscono significativamente neanche dopo i dieci anni. Numerose sono le classificazioni proposte per i DSL, ma quella maggiormente usata è basata su un criterio retrospettivo, ovvero sul carattere transitorio o stabile del disturbo, sebbene non sia molto adeguata, in quanto disturbi che ad una certa età sembrano simili, possono evolvere in quadri diversi. E’ presente oltretutto un dibattito sulla classificazione dei DSL, tra autori che li considerano una condizione limite nell’ambito della normalità (Whitehurst e Fischel, 1994, in Cipriani e Chilosi, 1995) ed altri che, invece, propongono varie tassonomie basate su criteri clinici (DSM-IV-TR: American Psychiatric Association, 2000; ICD-10: Organizzazione Mondiale della Sanità, 1992), neuropsicologici e psicometrici (ad esempio Wilson e Risucci, 1986, in Cipriani e Chilosi, 1995), neurolinguistici (Rapin e Allen, 1983, 1988, 1992, in Cipriani e Chilosi, 1995) e psicolinguistici (ad esempio Miller, 1981, in Cipriani e Chilosi, 1995). Donini e Cubelli (2000) consigliano in particolare, per una diagnosi funzionale e una valutazione più puntuali del DSL, i sistemi di classificazione proposti dall’ICD-10 e dal DSM-IV, basati su criteri clinici. Al di là delle diverse classificazioni presenti per i DSL, è bene tenere conto comunque della classica distinzione tra disturbo espressivo (Disturbo della Espressione del Linguaggio: DSM-IV-TR, 2000), recettivo (Disturbo della Comprensione: ICD-10, 1992) ed espressivo-recettivo (Distrubo Misto dell’Espressione e della Ricezione del Linguaggio: DSM-IV-TR, 2000), pur consapevoli dell’importanza che avrebbe l’elaborazione di modelli multidimensionali adeguati dal punto di vista clinico-descrittivo, compatibili con modelli di funzionamento e apprendimento linguistico e validati statisticamente. Un aspetto rilevante da tenere presente è che le difficoltà linguistiche sono spesso alla base di molti disturbi dell’apprendimento. L’apprendimento a scuola è possibile infatti solo grazie alle funzioni linguistiche, che permettono l’acquisizione di conoscenze e competenze anche in ambiti come ad esempio il calcolo. Sicuramente però, l’area in cui sono più influenti le abilità linguistiche è quella dell’apprendimento di lettura e scrittura. Diagnosi dei disturbi del linguaggio. E’ bene cercare di identificare il più precocemente possibile, ovvero in età prescolare, segni di difficoltà o di anomalia del linguaggio, in quanto si è rilevato che una diagnosi precoce e, di conseguenza, un intervento precoce e mirato e una valutazione del rischio di DSA precedente all’entrata a scuola, sono efficaci sia per la riabilitazione del disturbo linguistico, che per prevenire il disturbo di apprendimento. Addirittura Sabbadini e Leonard (1995) suggeriscono di identificare i soggetti “a rischio” già al Nido o ai Consultori pediatrici. In effetti è stato riscontrato che indicatori precoci di difficoltà linguistiche e, più tardi, di difficoltà di lettura, si possono riscontrare già in forme iniziali di comunicazione madre-bambino e quindi nelle prime competenze relative ai suoni (Cornoldi, 1999). Una terapia specifica del linguaggio permette al bambino di raggiungere una padronanza linguistica maggiore di quella dovuta a sola maturazione e inoltre i progressi ottenuti tendono a mantenersi e generalizzarsi. Sicuramente, senza terapia, questi bambini rimarrebbero molto più indietro rispetto a coetanei normodotati, sebbene non sia possibile per loro raggiungere una competenza linguistica completamente adeguata. Purtroppo ancora oggi, nonostante siano disponibili più strumenti di valutazione linguistica e migliori metodologie di intervento rispetto al passato, i casi di ritardo di linguaggio vengono spesso identificati troppo tardivamente, ovvero solo all’ingresso alla scuola materna, o, addirittura, alla scuola elementare. A volte i genitori di bambini con ritardo linguistico hanno dei sospetti e si rivolgono a specialisti, che però considerano con leggerezza e superficialità questi campanelli d’allarme, ignorandoli, quando invece si è rilevato che c’è un’alta percentuale di frequenza di DSL proprio tra i bambini che presentano un ritardo del linguaggio. Come suddetto, con l’inizio della frequenza della scuola elementare, disturbi del linguaggio anche lievi e pertanto sottovalutati o non rilevati, possono determinare difficoltà di apprendimento scolastico. Analogamente, bambini con pregresso ritardo specifico di linguaggio, nonostante la successiva normalizzazione della loro produzione orale, possono ripresentare difficoltà fonologiche o morfo-sintattiche nella fase di apprendimento scolastico della lingua scritta (Donini e Cubelli, 2000). E’ facile capire quindi l’importanza di giungere anche in Italia ad approntare batterie di prove valide per la valutazione di questi disturbi, tenendo in considerazione che la valutazione del linguaggio orale deve essere un processo dinamico e multidimensionale, che richiede modelli teorici di riferimento, adeguati strumenti metodologici e operativi, la considerazione di fattori biologici, cognitivi e sociali e un approccio interdisciplinare che coinvolge competenze mediche, psicologiche e pedagogiche. Durante il primo anno di scuola, infatti, i bambini con DSL presentano difficoltà di apprendimento apparentemente lievi, per cui solo con compiti più sensibili si possono rilevare fattori di rischio per un successivo evidenziarsi del disturbo di lettura (Penge e Diomede, 1992). Un altro elemento da tener presente è l’importanza di favorire un lavoro d’equipe, che preveda una stretta collaborazione tra diverse figure specialistiche in fase di valutazione; infatti questo permette di arrivare ad una diagnosi che comprenda anche indici prognostici e di definire un profilo individualizzato del bambino, per approntare poi adeguati programmi di intervento e riabilitazione (Sabbadini e Leonard, 1995). Scuola, famiglia, pediatri, servizi specialistici si trovano tutti a dover affrontare il problema ed è necessario che collaborino reciprocamente nel rispetto delle proprie specificità e senza rischio di sovrapposizione. In particolare, per la segnalazione del disturbo, oltre al pediatra è molto importante anche la scuola; da qui l’importanza della formazione/aggiornamento degli operatori scolastici su queste problematiche. Rispetto alle aree da indagare per la diagnosi, andrebbe effettuata una valutazione cognitiva, una valutazione linguistica (aspetti ricettivo, produttivo e metafonologico), una valutazione dell’attenzione e della memoria verbale e sequenziale a breve termine: l’indagine di queste aree permette di identificare il problema alla base del disturbo del bambino, per definire poi un piano di trattamento/riabilitazione specifico e individualizzato (AA.VV., 2011). Tra le varie forme di intervento per trattare questi disturbi ci sono il trattamento logopedico, il parent training, la terapia di sostegno psicologico e la terapia di gruppo, che hanno lo scopo di migliorare le strategie di relazione del bambino, potenziando le sue capacità di comunicazione e di comprensione del linguaggio. Colloqui di sostegno con i genitori possono inoltre essere utili per ridurre le tensioni familiari, per favorire la comprensione del funzionamento del disturbo da parte dei genitori, in modo da evitare la colpevolizzazione del bambino e da favorire l’apprendimento di strategie relazionali utili al processo di cura. Naturalmente, è molto importante, soprattutto a scopo preventivo, che già dalla scuola dell’infanzia vengano proposti stimoli che favoriscano nei bambini lo sviluppo di competenze in campo linguistico. Bibliografia AA.VV. Le difficoltà di linguaggio. Materiali di studio proposti dal Gruppo di Lavoro sulla Disabilità dell’Istituto Comprensivo “L. Pirandello” di Pesaro (PU), a.s. 2008/2009. <http://www.icpirandellopesaro.it>, ultima consultazione: 30/03/2011. Aglioti S.M., Fabbro F. (2006). Neuropsicologia del linguaggio. Bologna: Il Mulino. American Psychiatric Association (2000), Diagnostic and statistical manual of mental disorders, fourth edition, Text Revision. APA, Washington. Amoretti, G. (1998). Evoluzione dei processi cognitivi, in R. Job (a cura di), I processi cognitivi (pp. 381-415). Roma: Carocci editore. Bishop, D. V. M. e Adams, C. (1990). A prospective study of the relationship between Specific Language Impairment, Phonological Disorders and Reading Retardation. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 31, 7, 1027-1050. Cipriani, P. e Chilosi, A. M. (1995). Classificazione dei ritardi e disordini di acquisizione del linguaggio, in G. Sabbadini (a cura di), Manuale di neuropsicologia dell’età evolutiva (pp. 310-341). Bologna: Zanichelli. Cornoldi, C. (1999). Le difficoltà di apprendimento a scuola. Bologna: il Mulino. Dellantonio, A. (1991). Basi biologiche e nervose dei disturbi dell’apprendimento, in C. Cornoldi (a cura di), I disturbi dell’apprendimento (pp. 139-167). Bologna: il Mulino. Donini, R. e Cubelli, R. (2000). La valutazione del linguaggio orale in età prescolare e scolare, in G. Axia e S. Bonichini (a cura di), La valutazione del bambino (pp. 69-89). Roma: Carocci editore. Fabrizi, A., Sechi, E. e Levi, G. (1991). I problemi del linguaggio, in C. Cornoldi (a cura di), I disturbi dell’apprendimento (pp. 189-213). Bologna: il Mulino. Gullotta, V. Disturbi del linguaggio. <http://www.provincia.bz.it>, ultima consultazione: 30/03/2011. OMS (1994). ICD-10, Classification of mental and behavioural disorders. Churchill Livingstone, London. Penge, R. e Diomede, L. (1992). Dal linguaggio orale al linguaggio scritto: l’acquisizione di lettura e scrittura nei bambini con disturbo specifico del linguaggio. Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 59, 545-556. Piperno, F., Maurizi, P. e Levi, G. (1992). Fattori di rischio cognitivo nei bambini con disturbo specifico di linguaggio in età prescolare. Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 59, 507-521. Sabbadini, L. e Leonard, L. B. (1995). Criteri per la valutazione dei disturbi del linguaggio, in G. Sabbadini (a cura di), Manuale di neuropsicologia dell’età evolutiva (pp. 379-405). Bologna: Zanichelli. |
DIDATTICA AL NIDO E IN FAMIGLIAGiochi di luce al nido http://www.progettoasilonido.org/
Giochi di luce è una semplice, ma efficace attività ludica diretta a promuovere lo sviluppo sensoriale visivo e stimolare la curiosità e le capacità di esplorazione che l’educatrice di asilo nido può proporre a bambini piccoli e grandi (dagli 8 mesi in poi). Valenza educativa La valenza educativa di Giochi di luce si basa sul contribuire al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
E'un’ottima esperienza sensoriale per i bambini molto piccoli; tocca più aree dello sviluppo ed è rapidamente personalizzabile secondo il proprio stile educativo e facilmente individualizzabile secondo i feedback ricevuti da ciascun bambino. Per i bambini più grandi, grazie alla narrazione, è un’attività divertente e stimolante che abbiamo osservato essere solitamente molto apprezzata. Età consigliata i giochi di luce sono stati provati con successo con bambini d’età dagli otto mesi in poi. Proponibile a: bambini singoli o in gruppo, a partire da 8 mesi. Abbiamo osservato che i bambini sopra i 24 mesi apprezzano maggiormente la variante narrativa. Setting e risorse L’educatrice di asilo nido prepara una stanza sufficientemente in penombra da poter osservare nettamente gli aloni di luce proiettati da una torcia elettrica. È importante che la stanza non sia completamente buia; è solitamente sufficiente lo sia meno che nella stanza del sonno. Giochi di luce e famiglie E' un’ottima attività ludica da proporre alle famiglie dei bambini piccoli, ad esempio per includerla in attività serali di narrazione e lettura. Abbiamo osservato che è particolarmente apprezzata e ritenuta “divertente” dai papà, forse perché unisce aspetti pratici e azioni alla semplice narrazione verbale. Materiali
Proposta
Varianti
Parametri per l’osservazione I parametri per ciascun bambino sono:
Valutazione dell’efficacia educativa La valutazione dell’efficacia educativa sarà positiva se sia le singole durate dell’attenzione, sia gli “Ancora!”, aumentano tra la prima e l’ultima proposta dei Giochi di luce. Misure di sicurezza Dal punto di vista delle misure di sicurezza, l’educatrice deve eliminare eventuali ostacoli al libero movimento presenti nella stanza, come arredi e giochi. Dato che l’ambiente non sarà così buio da impedire di vedere dove muoversi, l’attenzione dell’educatrice dovrà concentrarsi sull’evitare che i bambini deambulanti (soprattutto quelli sopra i 24 mesi) confluiscano tutti in un unico punto, intralciandosi a vicenda. Giochi linguistici per l'ultimo anno della Scuola dell'Infanzia e il primo della Scuola primaria
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